Che
genere di musica
suoni?, che tipo di disco hai fatto?....
Queste
sono le domande più difficili che mi siano state poste e per
le quali, devo dire, non ho mai trovato risposta.
Come
si fa a
spiegare che musica suoni quando è tutta la vita che lavori
nel
tentativo di ignorare gli steccati che dividono la musica in tante
famiglie?
Come
si fa a
spiegare che musica suoni quando la tua ricerca mira a considerare i
fatti musicali come unici, al di là della loro appartenenza
a
generi o stili?
In
questi anni di
ricerche ho sempre perseguito una strada personale attraverso la quale
rappresentare la mia forma musicale, muovendomi in ambiti non
convenzionali o quanto meno non esattamente definibili, evitando quegli
accademismi che si nascondono all'interno dei generi e rinunciando al
riconoscimento consolatorio da parte di una certa fetta di pubblico.
Creare
un progetto
come questo significa anche rompere un meccanismo dell'ascolto,
infrangere un codice legato all'autoidentificazione in un genere o
stile musicale, per dare spazio alla musica in senso molteplice,
ponendo al centro dell'attenzione il risultato sonoro e concettuale
dell'opera.
Il
mio intento è stato anche quello di reagire ad una certa
"stanchezza" che si annida nell'improvvisazione radicale,
manifestata
da una ripetitività di suoni e formule oramai definiti.
Tutto
ciò mi
ha richiesto molto coraggio e mi ha posto, inconsapevolmente,
di
fronte a certi rischi ma soprattutto mi ha insegnato che evitare di
ricorrere alle seducenti espressioni della musica "commerciale",
facilmente identificabili da parte dell'ascoltatore, è un
elemento fondamentale per compiere scelte che vanno verso nuovi
territori musicali.
Credo
che "Meglio
solo..." non sia esclusivamente un concerto ma anche l'espressione di
una forma letteraria e concettuale comprensibile se si ascolta l'opera
dall'inizio alla fine
e,
soprattutto, credo che appartenga a quella categoria di opere da
scoprire e non solo da riconoscere.
"Meglio
solo…" non è un atto di presunzione ma, al
contrario, la
piena presa di coscienza del fatto che infrangendo certi linguaggi
l’interplay e il dialogo tra i musicisti diventano difficili.
Questa
incondivisibilità comunicativa si complica ulteriormente
quando,
come in questo progetto, diversi mondi sonori si mescolano tra loro (le
sonorità timbriche degli strumenti acustici e lo sterminato
mondo elettronico) nel tentativo di creare un unico magma che sfocia in
un personalissimo approccio alla materia improvvisativa.
Sono
sempre stato
convinto che certi ronzii che albergano nel nostro cervello sono
solamente nostri, magnificamente unici, trasmissibili attraverso le
emozioni e percepibili soltanto se si è armati di una grande
"disponibilità".
Per
sopperire,dunque, a questa insormontabile difficoltà mi sono
detto:………"meglio solo!"
Buon
ascolto.
Simone
Zanchini